Nella difficoltà scopri chi sei

Lisa ha 37 anni, è già mamma di due bimbi ed aspetta un terzo figlio.

Ad un esame diagnostico consigliatole per l’età scopre che il bambino è affetto da una grave malattia genetica, definita come “incompatibile con la vita”.

In poco tempo lei ed il marito sono costretti a prendere una decisione molto difficile:”Abbiamo passato giorni ad ipotizzare la nostra vita e quella dei nostri figli con un problema più grande di noi, che avrebbe procurato in noi un enorme senso di impotenza e dolore, un patimento per i nostri figli ed una inimmaginabile sofferenza per la creatura che avevo in grembo, arrivando così alla scelta di interrompere la gravidanza”. Continua Lisa:”Ci siamo stretti insieme ed abbiamo affrontato il supplizio da noi deciso”.

Lei ed il marito raccontano i sentimenti che li hanno invasi: il senso di perdita, di fallimento e d’infelicità difficili da superare.

Il crollo arriva quando Lisa rilegge un giorno la cartella clinica relativa all’intervento:”mi sono vergognata nel leggere le nostre motivazioni, non mi ci sono riconosciuta, mi sono sentita una mamma misera ed ingrata. Una codarda nei confronti di questa sfida che la vita mi ha voluto presentare. Mi sono sentita quella che predica bene ma razzola male.. Ed ora come si fa a perdonarsi?”.

Quando accadono eventi traumatici o dolorosi, vengono alla luce parti di noi delle quali non avevamo consapevolezza: è proprio in quei momenti che possiamo scoprire chi siamo veramente.

Per smettere di soffrire si deve dire addio alle false identità. 

Lisa si è trovata ad affrontare una delle decisioni più drammatiche dell’esistenza: dare o meno la vita ad un figlio con una grave malattia. E proprio lei che della vita e delle sfide ha sempre fatto una bandiera, ha scelto di negarla: una “presa di coscienza” che oggi la precipita in un abisso di dolore e le impedisce di perdonarsi.

Non è nostra intenzione dare giudizi su una decisione così delicata e difficile, ma dalle sue parole si ha l’impressione che Lisa attribuisca le ragioni a sostegno della propria posizione più alla paura che ad una profonda convinzione. E forse proprio qui sta il problema, ovvero il ruolo che Lisa aveva sempre interpretato era, in realtà, una costruzione mentale e la malattia del figlio glielo ha mostrato in maniera più chiara. 

La sofferenza e l’incredulità di oggi sono perciò figlie di una doppia perdita: quella di un figlio desiderato ma sfortunato e quella di un’immagine di sè che in verità non le appartiene. Ad entrare in crisi dunque è un’intera identità: la donna e la madre non sono state all’altezza delle proprie aspettative, una scoperta drammatica ma della quale è necessario fare tesoro.

Questo evento ha messo a nudo la fragilità di un’immagine con la quale Lisa si era a lungo identificata ed al contempo ha fatto emergere un aspetto di sè che è importante accettare, quella paura di non farcela che l’ha condotta verso la scelta compiuta; la stessa che oggi suo malgrado la fa sentire tanto male. 

La paura con la quale Lisa si è trovata a fare i conti non deve essere certo letta come un male all’origine di una colpa, ma come un limite che le appartiene in quanto essere umano: il limite di non aver considerato che concepire un figlio comporta anche dei rischi, il limite di aver fatto di un ideale il proprio credo.. Si tratta di limiti più che umani e prima Lisa accetterà di averne, come tutti, prima riuscirà a perdonarsi. Ecco che la sua “sfida” oggi è quella di rinunciare alle posizioni assolute accettando anche le incongruenze e le fragilità. 

Condannarsi non la renderà una madre migliore, invece imparare ad accettarsi e a prendersi i giusti tempi le permetterà di perdonare a se stessa anche quella scelta tanto difficile.