L’importanza del padre nello sviluppo dei figli

Rapporto genitorie figli

Premettendo che entrambi i genitori sono importanti allo sviluppo psicologico dei figli, ritengo utile qui esplorare e condividere l’importanza del ruolo di padre, anche in ragione del notevole aumento, negli ultimi decenni, dei nuclei familiari privi della figura paterna.
All’inizio il figlio e la figlia, quando sono ancora nell’utero, vivono in uno stato di beatitudine che si trasforma, nel momento della nascita in un rapporto di amore e di simbiosi con la madre. Si tratta, dal secondo mese in poi di una simbiosi normale, nella quale il bambino si comporta e agisce come se egli e la madre fossero un unico sistema.
All’inizio una buona simbiosi con la madre, sorretta da un amore attento, è indispensabile affinché il bambino possa acquisire quella sicurezza di base che è fondamentale perché possa poi sviluppare una personalità armonica. Fin dai primi mesi di vita però, la presenza del padre come terzo, esterno alla diade madre-figlio è importante per favorire una buona riuscita della simbiosi e, nello stesso tempo, prefigurarne il superamento.
Amorevolmente tollerante della fusionalità iniziale, il padre presente infatti sa sostenere la sua compagna e cogliere istintivamente il momento in cui ‘rientrare’ nella coppia per favorire l’allentamento della simbiosi. Spesso le madri parlando della loro esperienza riconoscono che il marito ha svolto un ruolo importante nell’aiutarle a separarsi dal figlio. Anche per la madre infatti è importante la presenza del terzo che la aiuti ad uscire dalla coppia simbiotica col figlio e ad affrontare senza timore gli aspetti depressivi che tale separazione talvolta comporta.
Per il figlio poi, la presenza del padre è indispensabile, verso la fine del primo anno, affinché il bambino possa distinguersi dalla madre ed iniziare a percepirsi come individuo a sé.
All’età di un anno e mezzo così, con la conquista della deambulazione e l’inizio dell’intelligenza rappresentativa, che si esprime nel linguaggio, il bambino diviene un’entità individuale separata. E’ allora che si pongono le premesse per il suo sviluppo psichico. Nell’osservazione dei suoi comportamenti si riscontra, dopo i sedici e i diciassette mesi, la disponibilità a passare periodi sempre più lunghi di tempo lontano dalla madre, ad esempio nella sua stanza, in presenza del papà. In questa fase però il bambino rischia ancora, e forse teme, di essere ‘ringoiato’ dal rapporto simbiotico con la madre. Per questa ragione la figura paterna è particolarmente importante.
Spostando lo sguardo sul padre il figlio e la figlia si sentono attratti dalla sua energia così diversa da quella materna ed iniziano a stabilire con lui una nuova relazione, consolidando la loro relativa autonomia dalla madre ‘onnipotente’.
Per la figlia è questa la prima forma di ‘amore’ per il maschile. Per il figlio maschio si tratta invece di un amore per identificazione (del tipo: “da grande sarò come lui”) che lo spinge verso il padre, in una relazione di tipo non competitivo.
Proprio l’amore per il padre gli dà una gioia infinita e lo salva dalla regressione simbiotica. Si ritiene che all’età di circa tre anni e mezzo, l’amore per identificazione nei confronti del padre, cominci a dissolversi. Finora i figli hanno vissuto soprattutto nei confronti della madre, ma anche nei confronti del padre, un amore relativamente indisturbato.
Adesso le cose si complicano e diventano più difficili. Le strade della femmina e del maschio iniziano a dividersi. Le tonalità dell’amore assumono connotazioni di tipo competitivo, della bimba nei confronti della madre e del bimbo nei confronti del padre. Le energie sessuali si potenziano e si sviluppa un sentimento di rivalità (con la madre o col padre) che ritornerà, potenziato, nella pre-adolescenza.
Dai cinque ai dieci anni i bambini vivono un periodo relativamente calmo, in cui l’energia sessuale conosce quella che Freud ha chiamato una fase di latenza. La loro attenzione inizia a rivolgersi al di fuori della famiglia, alla società.
Dal punto di vista della psicoanalisi è soprattutto il padre che ha il compito di guidarli in questa direzione, aiutandoli a sviluppare due funzioni psichiche complementari: di proibizione (“quello che dovrei essere”) e di aspirazione (“quello che vorrei essere”).
La prima aiuta a formarsi una coscienza morale, ad interiorizzare i confini tra ciò che è giusto e ciò che non lo è, ad assumere come propri quei ‘no’ che provengono dal padre.
Attorno agli otto-nove anni, poi, il padre stabilisce per il figlio il bene e il male, cioè i criteri di valutazione che corrispondono al significato di obbedienza e disobbedienza nei suoi confronti. Il nostro primo codice morale si forma sull’esempio dei genitori e soprattutto è bene ricordare che il bambino “impara” i valori morali – potremmo dire impara a diventare uomo – a partire da quello che gli adulti fanno e non da quello che dicono, evidenziando così la forza dell’esempio a fronte dell’inconsistenza delle parole.
La seconda funzione, quella di aspirazione, spinge invece a superare quelle limitazioni intellettuali ed emotive che legano i figli alla famiglia. Per sapere che cosa desidera davvero, il figlio deve ora aprirsi alla cultura ed alla società.
Verso i dieci-undici anni inizia la pre-adolescenza. Tutto viene sessualizzato, il linguaggio, oggi non più solo quello dei maschi, diventa osceno. I ragazzi/e sentono un forte bisogno di condividere le proprie esperienze con i propri coetanei ed in particolare con gli appartenenti allo stesso genere. La fase di latenza è finita. Per i maschi torna quella forte attrazione affettiva nei confronti della madre, tanto familiare tra i tre e i cinque anni. Alcuni di loro iniziano a idealizzare fortemente il padre. Alcune ragazze ad amarlo intensamente. Dopo poco cadono le difese nei confronti della tenerezza e del mondo emotivo e si fa strada, quando le cose vanno bene, una forte attrazione per un’altra persona, esterna alla famiglia. Spesso in questa situazione il maschio cerca, più o meno consapevolmente, il colloquio col padre. Comunque ne ha sempre più bisogno. Infatti non sa che cosa fare di fronte a due stati emotivi che vive spesso simultaneamente: il lutto per la perdita della madre e l’innamoramento per un’altra donna. La figlia, che ha bisogno soprattutto di un confronto con la madre, cerca contemporaneamente lo sguardo del padre, che la renda sicura della sua femminilità nascente, del suo carattere unico e fortemente personale. A questa età, con la sua presenza, fatta di gesti, parole e sguardi, il padre trasmette ai figli quella fiducia in se stessi che è indispensabile per affrontare la vita. Se invece il padre è assente o distratto, alla fine dell’adolescenza il fuoco della passione per l’altro, ma più in generale per la vita, si spegne e i figli diventano tristi e disorientati oppure depressi e dipendenti.

..l’importanza dei figli nello sviluppo del padre

Il passaggio dell’uomo verso lo status paterno non è immediato. Gli uomini diventano padri in un senso biologico, ma non sempre eseguono quegli aggiustamenti psicologici e comportamentali necessari ad assumere pienamente il loro ruolo.
L’essere padre, spiega Palkovitz, comporta una serie di responsabilità diverse da quelle del marito e richiede degli impegni ulteriori. Questo cambiamento ha degli effetti sulle priorità, le scelte e il comportamento nella vita quotidiana. È un processo che richiede del tempo.
Essere padre è un ruolo che gli uomini maturano crescendo. La transizione verso la paternità è un momento di grande svolta nella vita di un uomo. Se l’uomo è disposto ad entrare in questo rapporto con i figli, diventa uno dei cambiamenti più grandi nella sua vita e nel suo sviluppo come persona.

Per spiegare questo rapporto, ho trovato molto bella la definizione “ESSERE CONNESSI” che Brotherson, della North Dakota State University, usa nel definire la relazione positiva tra padre e figlio.
L’”essere in connessione”, in collegamento, implica la costruzione, nel corso del tempo, di un legame che sia più del semplice amore che il genitore può avere per un figlio e che gli dia la percezione di questo amore e di questa accoglienza.

Definire l’amore paterno non è facile. Una maniera sarebbe quella di fare riferimento al modo in cui un padre è presente nella vita del figlio, aiutandolo nelle sue necessità materiali, emotive, sociali e spirituali. Condividere il proprio tempo, le proprie attività, i propri pensieri e il proprio essere significa dare un sostegno costante che il figlio percepisce come un qualcosa di solido e duraturo nella sua vita.


L’essere connessi si esplica nelle varie forme dell’amore verso l’altro e della fiducia e vicinanza che si sviluppa in tale relazione.
Brotherson spiega che più un figlio si sente “connesso” ai suoi genitori, più è portato a fidarsi anche degli altri e ad instaurare rapporti sereni e stabili con i suoi coetanei e con gli adulti. Un rapporto familiare stretto risulta anche più efficace nel tutelare i figli da problemi come la depressione, il suicidio, l’attività sessuale precoce e l’uso di droghe.

Ma come si può “essere connessi” ai propri figli? Brotherson raccomanda di giocare insieme ai figli e di aiutarli nel processo educativo. Essere disponibili a dare loro conforto e affetto nei momenti in cui ne hanno bisogno e condividere momenti spirituali pregando insieme.

 

 

 

Dott.ssa Giulia Pizzardo Psicologo Psicoterapeuta a Rovigo

Iscritta all’Ordine degli Psicologi del Veneto, Albo A, n. 8617 come Psicologa Psicoterapeuta.

Giulia Pizzardo – Psicologa Psicoterapeuta ad indirizzo analitico specialista in Ipnosi Ericksoniana.